Ho fatto almeno quattro ritiri di meditazione vipassana nella mia vita, in Italia e in Oriente.
Sono corsi in genere di dieci giorni, in cui, per dirla in breve, ci si siede su un cuscino almeno otto ore al giorno, si impara una tecnica meditativa e si sta in silenzio.
Quando qualcuno ha domande sulla pratica o ha richieste particolari può parlare, ma solo con l’insegnante.
Per il resto si osserva il cosiddetto “nobile silenzio”: per dieci giorni si fa una vita monacale e non si proferisce parola.
Un po’ prima del decimo giorno, si avverte qualcosa di frizzante nell’aria.
Quel lungo periodo in cui ognuno ha osservato una dura disciplina sta per terminare e a breve si potrà tornare a parlare normalmente.
Ho notato che ci sono diverse modalità e differenti approcci verso questo importante momento.
C’è chi, appena viene resa esplicita la possibilità di rompere il nobile silenzio, si butta a capofitto sul compagno di stanza o sull’amico, aprendo subito bocca per condividere, spiegare, raccontare, parlare.
La parola esce come schiuma da uno spumante appena stappato, come qualcosa che era lì compresso e che finalmente può uscire una volta aperta la bottiglia.
Poi ci sono quelli che si aprono gradualmente alla parola.
Sentono che qualcosa è cambiato, ma aspettano. Si godono ancora un po’ quel periodo di silenzio, sanno che non tornerà presto. Sorridono, scambiano con lentezza un saluto o un accenno di parola. Ma non indulgono, non si buttano subito nel vecchio chiacchiericcio. Non vogliono sprecare quegli ultimi dieci giorni tornando immediatamente al solito conversare.
Non vogliono dissipare i doni elargiti dall’osservazione del proprio respiro e delle sensazione del proprio corpo per così tanto tempo.
Sanno che le cose che hanno fatto prima e che facevano da sempre le potranno fare anche dopo. Sentono che quel tempo di volontaria “clausura” è stato prezioso, che quello stare non va messo subito da parte, che la mente divora tutto e che è meglio attendere, prima che essa riprenda tutto il potere che aveva prima.
Mi piacerebbe pensare di aver fatto parte di questa tipologia di persone durante i miei ritiri vipassana, ma non ne sono così sicuro.
Non credo che il paragone tra questa quarantena e un ritiro di meditazione sia molto azzeccato, ma proprio adesso, che si sente già nell’aria che le regole e i blocchi imposti da questo stallo iniziano piano ad allentarsi, mi viene in mente la vipassana.
Al di là delle opinioni che ognuno ha sull’utilità o meno delle disposizioni subite, sono molti quelli che non vedono l’ora di ributtarsi nel vecchio chiacchiericcio, nel vecchio mondo.
Davvero vogliono solo tornare alla normalità, fare esattamente quello che facevano prima, e basta.
Capisco perfettamente.
Eppure sento così forte che coloro che non hanno utilizzato almeno un po’ di questo tempo per indirizzare la propria vita verso una consapevolezza più grande delle loro vecchie abitudini, che si sforzeranno per riportare tutto allo stato precedente, che non hanno intuito che c’è un significato più profondo in questo momento sospeso, faranno crescere i semi della loro oscurità.
Mi piacerebbe non essere tra questa categoria di persone, ma non ne sono completamente sicuro.
Ci sarà qualcuno che inizierà a muoversi gradualmente. Che lascerà passare prima gli altri che scalpitano per tornare a quella normalità tanto ambita.
Qualcuno forse che in questo tempo non l’ha buttata solo nella lamentela.
Che non è rimasto solo su Netflix, o incollato a qualche schermo a chattare e a sentire il notiziario dei morti.
Ci sarà qualcuno che nonostante le condizioni disagianti e inusuali avrà fatto un po’ di silenzio dentro.
Che oltre ai corsi su zoom, le lezioni on-line, i barattoli di nutella e il proprio lavoro modificato, perturbato o compromesso, si è domandato a che punto si trova la propria vita e come orientarla un pochino verso la Bellezza e la Verità.
Che ha approfittato per farsi delle domande, anche sulla libertà, sull’informazione, su chi sono davvero questi esperti che gestiscono la nostra salute, sull’economia, ma senza esasperarsi all’eccesso. Che ha capito che sì, c’è davvero qualcosa che non va, che siamo al capolinea di qualcosa, che lo eravamo anche prima, ma ora è più chiaro.
Che è forse preoccupato ma non si fa prendere dal panico, che vede ancora meglio come viene preso in giro, ma non vomita proclami infantili. Che non ha più voglia di consolarsi con speranze ipocrite, che non finge di fare propositi come per il nuovo anno per poi disattenderli puntualmente. Che forse ha imparato un po’ in questa sospensione ad essere nel mondo, ma non del mondo.
Anche io vorrei essere questa tipologia di individuo, ma non ne sono così sicuro.
Sento il disincanto di chi si aspettava che potesse cambiare qualcosa. Che un’opportunità di fare un reset e di invertire la rotta è stata sprecata. Che si tornerà sul solito treno verso il burrone, alla dittatura delle merci, alla continua cecità del sacro, alle vecchie forme di banalità.
Non speravo certo che un tempo anomalo a causa di un virus, di cui nessuno ha ancora capito niente, potesse modificare quello che non mi piaceva in questo mondo.
Però, come credo di aver scritto in una poesia, mi veniva spontaneo fare il tifo per una specie di Apocalisse rivoluzionaria, mi abita una simpatica speranza che qualcosa di insolito e folle capovolga in meglio le sorti della pianeta e di me stesso.
Eppure i veri cambiamenti avvengono nella coscienza e nelle fessure dell’Anima. Nascono e crescono silenziosi, nascosti, apparentemente lenti, spesso invisibili, per poi fiorire inaspettatamente e improvvisamente.
Di questo sono già più sicuro.
Ciò che io posso fare adesso è continuare ad accogliere, perdonarmi, ripulirmi, ricontattare la forza vitale, ritornare a quella spaziosa presenza, discernere, coltivare il silenzio, scegliere la Luce.
Sto imparando a non scappare da quello che c’è, da quello che sono, e questa è una cosa buona.
La sincronicita’, si chiama così, bo, comunque il tuo messaggio arriva ed il tuo eco lo precede… Il tuo libro sul tavolo ‘manuale del partigiano zen’…forse vibrazioni simili…auspici simili. Mi sento in uno stato di sospensione ..ferma…come se la tempesta debba ancora arrivare…e l’attendo come si attende di vedere poi l’arcobaleno. Non voglio tornare alla normalità voglio Vivere! Grazie
Roberta, tempeste e arcobaleni vedremo ancora. Un sincronico abbraccio