Il mio viaggio nelle Filippine non poteva non prendere in considerazione l’isola di Siquijor, non foss’altro per la sua fama di isola di guaritori.
Siquijor è infatti considerata un’isola mistica, per via dei presunti guaritori che la popolano e leggende associate alla magia e alla stregoneria.
Rosario mi racconta che un suo amico polacco, detto il pirata, aveva una ferita che non si rimarginava e i medici non riuscivano ad aiutarlo, ma uno sciamano di qui gli ha risolto il problema. Mi faccio dare il suo numero e la mattina dopo ho un appuntamento con lo sciamano al mio alloggio.
Si chiama Jersey (o qualcosa del genere). Ha quarant’anni, ma sembra più giovane. Arriva con la moglie, che all’inizio parla per lui. Io le dico che non ho problemi particolari, ma sono interessato a conoscere dei guaritori e avere delle informazioni su di lui. La moglie mi dice che per prima cosa mi tasterà il polso, poi potrò avere delle informazioni su di lui. Invece Jersey non mi tasta il polso, ma inizia a parlare.
«Your problem is emotional.»
Dice che ho un problema emozionale e che penso troppo. Va bene Jersey, fin qui ti do ragione.
«Se non stai bene, se non sei felice, poi inizi a pensare ai problemi e il corpo si ammala». Saggezza popolare.
«La tua famiglia è divisa.»
«Io non sono sposato, ho un padre e una madre, e non sono divisi…» gli rispondo.
« È come se lo fossero.»
«Se vuoi ti posso fare un messaggio.»
«Va bene Jersey, sei tu lo sciamano…»
Tira fuori un liquido verde scuro, un olio di eucalipto preparato e bollito da lui. Mi fa sdraiare prono, e inizia a massaggiarmi la schiena, con il solito stile filippino deciso e poco delicato. Nonostante la pressione sia a tratti eccessiva, scioglie contratture e punti energetici. Un paio di volte lascio andare qualche urlo di dolore. Lui non sembra toccato, anzi finisce la prima parte del trattamento con un sereno rutto. Poi mi fa sedere, mi massaggia il petto e le braccia.
L’olio di eucalipto inizia a fare effetto e una sensazione di intensa frescura mi pervade il corpo, come se entrasse nelle ossa. Sudo di freddo e devo rimettermi la maglia.
Gli faccio qualche domanda.
«Dove hai imparato questo massaggio?»
«Da Dio.»
«Come da Dio?»
«Ho avuto un incidente. Un proiettile mi è passato da parte a parte, e stavo morendo» dice indicandomi il fianco del bacino e la traiettoria del proiettile nel corpo. «Per tre giorni sono stato fuori dal corpo. Lì Dio mi ha insegnato. Quando sono tornato sapevo come curare.»
«Di dove sei?»
«Del Mindanao.»
«Come sei arrivato qui a Siquijor?»
«Le notti sognavo questa isola. Allora dissi a mia moglie che dovevamo venire qui per aiutare le persone.»
Jersey non ha una parcella fissa, quindi lascio una offerta. Lui e la moglie si congedano, dicendo che devono scappare perché ci sono molti clienti che richiedono la sua opera.
A parte la diagnosi psicologica personale eccessivamente semplicistica (anche se probabilmente tutti i miei problemi vengono dal fatto che penso troppo), l’incontro con Jersey è stato significativo. Il massaggio è stato potente e il suo sguardo mi è sembrato onesto.
Sembra proprio che in ogni contesto sciamanico il guaritore abbia dovuto vivere un’esperienza a contatto con la morte, che gli ha aperto nuove visioni e fatto dei doni di guarigione, che poi lo sciamano deve mettere a disposizione per gli altri.
I giorni seguenti, nonostante la pioggia, decido di continuare la ricerca dei guaritori.
Per addentrarsi nel mondo delle tradizione sciamaniche non c’è luogo migliore, a quanto pare, di San Antonio, un minuscolo paesino sulle montagne, facilmente raggiungibile in 15 minuti da San Juan o dal paese di Siquijor. Smette di piovere e il viaggio è piacevolissimo: il verde delle palme e degli alberi di banano, l’aria di collina, gli sguardi calmi e sorridenti dei passanti che incontro, mi rasserenano.
A San Antonio c’è giusto una scuola elementare, un chiesa fatiscente, qualche casa, nessuna struttura turistica. C’è molto verde e le case hanno dei bei giardini, curati, con tante pianti nei vasi. Mi colpisce in particolare la quantità di Anthurium, quei fiori con una foglia grande, rossa, a forma di cuore, e un’infiorescenza cilindrica, sottile, ben eretta, di colore giallo. Sono fiori che simboleggiano amore e amicizia, originari delle zone tropicali delle Americhe e arrivate in Europa nel XIX secolo: come sono arrivati nelle Filippine?
Arrivato a San Antonio, non so bene che fare; mi sento un po’ timido e stupido, ma mi butto. Chiedo a delle signore sedute informazioni sui guaritori: mi fanno il nome di una certa Annanita Poncè, a pochi kilometri da San Antonio.
Annanita riceve nella sua abitazione, in una tipica casa filippina disordinata, con galli e galline ovunque. All’esterno uomini giocano con un mazzo di carte da poker, mentre la guaritrice è impegnata con una coppia di giovani fidanzati europei. Mi vede e mi invita ad entrare: è una donna grassoccia, di mezza età, molto rilassata. Sta massaggiando le gambe della bella ragazza europea. Quando arriva il mio turno, mi sente qualche secondo il polso, poi brucia delle erbe dietro di me. Mi massaggia la schiena da seduto. Recita una preghiera, soffia sul mio collo. Alla fine mi porge un tè alle erbe. Mi dice che sono in salute, e che quello che fa gli è stato da suo nonno.
Tutto qui. Non sono soddisfatto, mi aspettavo qualche cosa di più che un piacevole massaggio, un buon tè e dell’erba bruciata. Sugli scaffali ci sono in vendita delle love potions, presunte pozioni d’amore a 500 pesos cadauna. Sembra che Annanita abbia un frequente contatto con i turisti, e, sebbene non ci sia proprio niente di male, non mi convince del tutto.
Potrei chiuderla qua con i guaritori filippini di Siquijor.
Invece sono testone e curioso di vedere dal vivo cos’è il famoso Bolo Bolo, un rituale di guarigione sciamanica qui praticato. Così riparto in motorino, facendo finta di fare il Terzani alla ricerca dell’indovino, tra una affascinante vegetazione di palme e mangrovie, con paesaggi marini e terrazze di riso, rispondendo al dolce saluto dei bambini e delle persone semplici dell’isola.
Vedi il post VIAGGIARE NON HA SENSO
Siquijor, pur essendo piccola, ha una certa varietà di paesaggi: al suo interno colline e montagne da giungla equatoriale, sulla costa spiagge bianche e poco frequentate. Nonostante la sua particolare bellezza, non ha l’aria di un paradiso tropicale, non ha fondali da cartoline o spiagge di sabbia bianchissima. Chi capita qui, o inizia ad amare la sua indecifrabilità e i suoi misteri, la sua lentezza e il suo strano fascino, o si stanca facilmente e se ne va verso altri fondali e isole da cartolina.
Dopo diverse ricerche, alcune persone mi indirizzano nel Barangay di Sandogan (Barangay significa zona, quartiere), a qualche kilometro da Larena, nella parte nord dell’isola. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, riesco finalmente a trovare la sciamana: si sta riposando su una panca di legno con alle orecchie un paio di auricolari, mentre i suoi figli sono a scuola. È una giovane donna chiamata Aloy, sguardo ampio e sorridente.
L’arte del “Bolo Bolo”, anche nel suo caso, gli è stata insegnata da suo nonno, scomparso recentemente, e lei ora è l’unica della famiglia a tenere viva la tradizione. Vorrei farle delle domande, invece va se ne va in casa a prendere gli attrezzi del mestiere: non mi resta che sottopormi al rituale.
Arriva con una brocca d’acqua, una cannuccia e un barattolo di vetro con dentro un sasso. Mi chiede se ho dolori o mali. Non avendo particolari malanni le dico semplicemente la verità: a volte mi sembra di avere qualche tensione allo stomaco, come un peso, come se mi venisse da vomitare. Aloy mette l’acqua dentro il vaso, me lo passa sullo stomaco e sul ventre, e ci soffia dentro formando delle bolle.
Il nome “Bolo Bolo” sembra proprio venga da queste ‘bolle’ che il guaritore produce soffiando nella cannuccia. Il rituale consiste nel togliere il male dentro la persona tramite l’acqua, per poi lasciarlo andare.
Dopo qualche minuto Aloy si ferma e mi fa vedere come l’acqua si sia intorbidita. No, non è diventata per nulla nera. Però sembra davvero leggermente più torbida. La getta nel prato e ricarica il vasetto con acqua pulita.
«Continuiamo finché l’acqua non rimane pulita» mi dice.
Non riesco a fare un bilancio conclusivo del mio breve incontro con questi guaritori.
Mi sarebbe piaciuto essere con qualcun’altro, magari qualcuno che ne avesse davvero bisogno per risolvere un problema importante. Avrei potuto, credo, osservare più tranquillamente il rituale, senza essere contemporaneamente soggetto e oggetto della ricerca. Comunque, nonostante non abbia visto miracoli e cose paranormali, rimango affascinato da queste antiche pratiche sciamaniche che prevedono un diverso approccio con la vita, un altro codice, un altra visione del mondo e un particolare sentimento di fede. La fede, ovvero la fiducia che l’ammalato ripone nella pratica di guarigione, sono fondamentali, per qualsiasi tipo di cura. Non a caso quando chiedevo ai filippini locali se erano interessati ai guaritori la risposta che ricevevo aveva sempre a che fare con il credere o il non credere: «Io non ci credo» mi dicevano alcuni «ma se uno ci crede va bene».
Per quanto mi riguarda, sono abbastanza folle per sperimentarmi in cose insolite, ma sono anche abbastanza scettico da non lasciare andare tutti i miei ormeggi razionali. Un anelito spirituale e una struttura razionale, un piede di qua e uno di là: una condizione davvero frustrante.
(tratto dall’Ebook “Vado nelle Filippine“. La metà dei ricavi di questo ebook saranno destinati, come spiegato all’interno del libro, per progetti di sviluppo consapevole della comunità locale e orticoltura nel villaggio di Atop Atop nell’isola di Bantayan.)