Il maestro spirituale OSHO e la serie su Netflix WILD WILD COUNTRY

Quando ho capito che avevano fatto una serie su Osho e su ciò che era successo in Oregon negli anni ’80, nonostante io non abbia la Tv, non ami le serie tv e non sia nemmeno abbonato a Netflix,  ho fatto in modo di procurarmi subito Wild wild country.

E ho da poco finito di vedere in lingua originale le sei puntate da un’ora, e sono qui in questo silenzio, stranito e commosso, come chi ha finito di assaporare qualcosa di importante.

La serie non si concentra tanto sul famoso maestro spirituale e sul suo insegnamento, quanto sulle vicende che videro protagonista la comunità di Rajneeshpuram, sorta attorno a lui quando Osho, che allora si chiamava Baghwan Shree Rajneesh, decise di andare negli Stati Uniti.

La serie è ben documentata, con incredibili immagini d’archivio, costruita in modo sapiente riuscendo a raccontare con intensità la storia senza schierarsi da una parte o dall’altra.
Sono protagonisti gli abitanti di Antelope, una tranquilla cittadina semi abbandonata che si trovò nel giro di qualche anno a doversi misurare con dei vicini un po’ “strani” e che si chiuse su se stessa etichettando i sannyasin di Rajneesh come dei depravati che minacciavano le buone tradizioni americane.
La serie mostra come il movimento sorto attorno ad Osho fosse riuscito a trasformare un deserto di rocce in un paradiso auto sostenibile e a creare Rajneeshpuram, una comunità dove vivevano migliaia di persone e uno dei centri di terapia più all’avanguardia di tutto il pianeta.
Viene intervistata anche Sheela, la segreteria forte e astuta, che finì per essere travolta dall’ ambizione per il potere, che Osho stesso accusò per aver cercato di uccidere alcune persone all’interno della comunità e per un attacco bioterroristico ad alcuni cittadini contaminando il cibo con la salmonella.
Sono intervistati anche giudici procuratori e uomini delle istituzioni che fecero il possibile per distruggere la comunità e buttare fuori Osho dagli Stati Uniti.

Tutto questo avvenne mentre il maestro era in silenzio. Infatti Osho non parlò in pubblico fino a quando non vennero alla luce i crimini di Sheela, e per lui iniziarono altri guai.

Le sue parole, seguite dai media di tutto il mondo, non erano tollerate dall’establishment americano e Osho venne arrestato per violazione sulle leggi d’immigrazione.

Charles H. Turner, procuratore generale dell’Oregon, dichiarò: “Non avevamo alcuna prova nei confronti di Rajneesh, cercavamo di portare avanti questo caso usando la procedura penale per risolvere un problema di natura politica. Non è stato certamente un sistema ortodosso, ma Rajneesh doveva essere buttato fuori dal paese ad ogni costo.”

“L’ incarcerazione di Osho e il trasferimento per tutto il paese divennero uno spettacolo pubblico. Fu mostrato in catene e i funzionari sfruttarono il termine massimo consentito dalla legge per trasferirlo dal North Carolina a Portland per la lettura dei capi d’imputazione, e così nell’arco di dodici giorni Osho passò per ben sei prigioni differenti. Osho dichiarò che il governo statunitense si era comportato in maniera fascista, l’aveva umiliato in carcere, nonché avvelenato nel periodo di detenzione.” (da Wikipedia) 

Infatti quello che la serie non prende in considerazione, per ovvie ragioni politiche e di convenienza, è che, mentre era nelle carceri americane, Osho venne molto probabilmente avvelenato con il tallio, un materiale radioattivo che uccide a distanza di tempo, come è documentato nel libro “Operazione Socrate” di Andrea Valcarenghi.

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Non viene detto nemmeno che Osho fu decretato un deportato dell’umanità e dall’umanità, dato che il governo degli Stati Uniti proibì a tutte le nazioni sui cui aveva influenza (compresa l’Italia che obbedì) di concedere anche solo un visto di permanenza temporanea per far atterrare il suo aereo.

Osho fu costretto a tornare in India e poco dopo il giornalista Enzo Biagi lo intervistò, e questo fece andare su tutte le furie l’allora primo ministro italiano Giulio Andreotti, perchè qualcuno in prima serata alla Rai aveva osato pronunciare le seguenti parole:

Un uomo autoritario ha sempre un’autorità fittizia. Quando Gesù dice: “Ascoltami, perché le mie parole vengono da Dio”, parla in modo autoritario. Usa il nome di Dio per rafforzare la propria autorità, Quando il papa parla, parla in nome di Gesù Cristo. E’ autoritario. Io non lo sono, perché non parlo in nome di nessuno. Non ho Dio che mi sostiene, né una sacra bibbia. Parlo semplicemente per esperienza personale; e questo mi dà un’incredibile autorità.. 
Io sono un semplicissimo essere umano. Non faccio miracoli, non trasformo l’acqua in vino, perché non sono un criminale e quello è un crimine: sofisticare l’acqua! Non rivendico di essere l’unigenito figlio di Dio. Non dico che devi credere in me; al contrario, ti provoco a pensare, a dubitare, a essere scettico. Perché so che se dubiti, se ti interroghi, troverai inevitabilmente la verità che io stesso ho trovato. Solo le persone che dubitano della loro verità ti forzano a credere, ad aver fede. Perché hanno paura che, se ricerchi in prima persona, non troverai nessun riscontro di ciò che dicono. Il loro insistere sulla fede dimostra che loro stessi non sanno. Altrimenti, perché avere paura del dubbio e della ricerca? Io invito a ricercare, a indagare, perché so che qualsiasi cosa io dica esiste dentro di te, proprio come esiste in me.

Clicca Qui per leggere l’intera intervista 

“Wild wild country” ha comunque il merito di aver affrontato la vicenda sull’Oregon in modo attento e comunicativamente avvincente, facendo conoscere, anche a chi non ne sapeva niente fino ad ora, una pagina di storia che getta luce sulla prepotenza del potere, sull’animo umano e su uno degli esseri umani più importanti del secolo scorso, per molte persone ancora incompreso e mistificato.

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